Se fino a una decina di anni fa il tema del fundraising toccava solo marginalmente le organizzazioni operanti nell’ambito culturale, oggi la drastica diminuzione del ruolo predominante dello Stato nel sostegno alle arti e alla cultura pone come tema di sempre maggiore attualità la ricerca di fondi alternativi a quelli pubblici. L’esigenza di ideare nuove politiche di sostenibilità per ridurre la dipendenza dal finanziamento pubblico - che di fatto è ancora la fonte primaria di entrate per la maggior parte delle istituzioni culturali italiane – si fa pressante soprattutto se si considera che solo negli ultimi 10 anni l’entità dell’intervento statale nella cultura è diminuita del 30% e ancor di più guardando l’ultima manovra finanziaria e i tagli imposti agli enti locali. In questo quadro, da qualche tempo è letteralmente esploso anche nel settore culturale l’interesse per il fundraising, ovvero l’insieme delle strategie e delle azioni che un’organizzazione non profit mette in atto per coinvolgere i propri potenziali donatori, pubblici e privati, al fine di generare un afflusso costante di risorse – finanziarie, materiali e umane – in grado di sostenere le proprie attività istituzionali e garantire il proprio sviluppo nel tempo. A differenza di quanto accade all’estero, e in modo particolare nel mondo anglosassone, il fundraising in Italia è un’attività ancora generalmente scarsamente diffusa nel settore culturale, condotta per lo più in modo discontinuo e poco professionale, limitata ad occasioni ben definite. Sull’esempio di esperienze internazionali di successo e come già avvenuto in altri ambiti all’interno del Terzo Settore italiano, alcune organizzazioni culturali italiane hanno iniziato da qualche anno a dotarsi di piani di raccolta fondi più o meno strutturati e politiche di immagine e comunicazione innovative. Si tratta per lo più di musei d’arte (soprattutto arte contemporanea come la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, la Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia, il MAMBO di Bologna, il MART di Rovereto, il MAXXI di Roma, la Fondazione March di Padova), di musei scientifici (esempio d’eccellenza è il Museo Leonardo da Vinci di Milano) o di organizzazioni che operano nel campo della tutela dei beni culturali (il FAI sopra tutte) che hanno potuto scegliere la forma giuridica della fondazione o dell’associazione riconosciuta. Queste organizzazioni hanno percorso – veri first moover nel contesto nazionale – la strada del coinvolgimento di diverse tipologie di sostenitori privati quali fondazioni di erogazione, imprese e cittadini, potenziali e sempre più importanti attori nel sostegno alle politiche di conservazione del patrimonio storico artistico e nella sovvenzione delle arti e della cultura. Ricostruire un quadro completo delle diverse fonti di finanziamento di cui dispongono ad oggi le organizzazioni culturali è molto difficile, perché esistono molte lacune conoscitive e pochi dati disponibili sui bilanci e sulla composizione delle fonti d’entrata. Il fenomeno di certo più significativo in materia di finanziamento alla cultura da parte dei privati dall’inizio degli anni Novanta ad oggi è quello delle fondazioni bancarie che dal 1993, anno di inizio della propria attività, hanno mantenuto la cultura al primo posto come settore di destinazione delle erogazioni: considerando il totale delle erogazioni nei vari settori di intervento – nel 2009 408 milioni di euro destinati a progetti nel settore arte, attività e beni culturali2 – la percentuale destinata ad Arte e Cultura rappresenta, a seconda degli anni, dal 27 al 36% delle risorse complessive erogate. Nuove opportunità di sostegno a progetti in ambito culturale sembrano aprirsi anche all’interno dello sfaccettato e sempre più attivo mondo delle fondazioni di impresa, fino ad oggi maggiormente coinvolte su progetti di tipo sociale. Per quello che riguarda le imprese qualche segnale positivo sembra arrivare nonostante il periodo prolungato di crisi, anche al di là dei casi di imprenditori come Diego della Valle3 o Renzo Rosso4 che nei mesi scorsi hanno fatto notizia mettendo a disposizione grosse cifre per realizzare interventi di restauro di beni culturali “landmark” come il Colosseo e il Ponte di Rialto. Secondo un’indagine5 condotta da CIVITA nel 2010 su un campione di 1.500 imprese (rappresentativo delle imprese italiane con più di 9 addetti), il 48 % delle imprese italiane ha investito in cultura negli ultimi 3 anni, per una cifra di 2,5 – 3 milioni l’anno prevalentemente rivolti a sostegno di musei, mostre e in genere eventi e spettacoli, piuttosto che in interventi strutturali e di restauro (10-15%). Delle imprese che scelgono di sostenere le arti e la cultura, il 25,7 % è al Nord, il 13 % al Centro e l'8,9% al Sud. Il 20 % delle aziende grandi, investe oltre 500 mila euro l'anno. 1/5 di queste investe oltre un milione di euro. Questa tipologia di “investimento” ha registrato sicuramente una notevole evoluzione sia in termini quantitativi sia qualitativi nell’arco degli ultimi dieci anni: se inizialmente veniva utilizzata dalle aziende soprattutto per ottenere ritorni in termini di immagine e visibilità, da qualche tempo l’interesse si è spostato - in linea con quanto accade a livello internazionale - sul rafforzamento dei legami con la comunità di riferimento e sulla definizione dell’identità dell’impresa, o ancora sulla possibilità di differenziarsi rispetto ai competitors, di raggiungere nuovi pubblici o di valorizzare il rapporto con specifici target, oltre che di migliorare il clima aziendale favorendo ricadute positive sull’organico interno a tutti i livelli. Alla ricerca di questi nuovi ritorni, sono centinaia le imprese in Italia che hanno investito in cultura, e decine di modelli e casi di studio che non sfigurano affatto rispetto ai più rigorosi benchmark di eccellenza internazionale. Come insegna l’esperienza anglosassone, è però di fondamentale importanza che il coinvolgimento dei privati nel sostegno alla cultura venga sostenuto e pianificato anche politicamente. La crescita dell’investimento in cultura del settore privato è stata in questi anni solo parzialmente favorita dall’introduzione di agevolazioni fiscali maggiormente premianti da parte del legislatore italiano, il quale ha cercato di offrire alle imprese intenzionate a sostenere la cultura attraverso erogazioni liberali, vantaggi simili, se non addirittura superiori, a quelli offerti nella maggioranza degli altri paesi europei. Per quanto riguarda le imprese, un segnale forte era arrivato in seguito all’approvazione della L. 342/2000, che ha reso interamente deducibili per i titolari di reddito d’impresa le erogazioni liberali destinate a soggetti – quali Stato, Regioni, enti locali territoriali, enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute – operanti nei settori dei beni culturali e dello spettacolo (articolo 100, comma 2, lettera m del Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Sebbene in un primo tempo inspiegabilmente poco considerata dalle imprese, a 9 anni dalla prima applicazione della norma il flusso del contributo dei privati alla cultura è considerevolmente aumentato (per il 2009 ammontava a 29.439.452,90 Euro). Minori successi si possono riscontrare in tema di donazioni alle arti o al patrimonio culturale da parte dei privati cittadini. Nel contesto italiano le erogazioni liberali da parte di privati cittadini a sostegno della cultura hanno una dimensione e un peso ancora trascurabile: la sensibilizzazione e l’ideazione di forme e modalità di coinvolgimento degli individui nella vita della maggior parte delle istituzioni culturali è ancora ad uno stadio iniziale. Tra le cause si riscontra certamente l’esistenza di ancora numerosi ostacoli dal punto di vista burocratico- amministrativo, ma non giova certamente una certa diffidenza da parte delle organizzazioni culturali che stentano ancora a comprendere i possibili benefici derivanti dalla partecipazione di tali soggetti alle proprie iniziative e attività culturali. Se guardiamo poi all’esistenza di agevolazioni e incentivi a livello fiscale, fino al 2005 era ancora poco considerata la possibilità di donazioni da parte dei privati. Qualcosa è cambiato con l’approvazione della legge 80/057, unita alla possibilità di destinare il 5permille dell’IRPEF per il sostegno di organizzazioni che operano in campo culturale (introdotta per la prima volta dalla Finanziaria 2006) che accrescono la possibilità di rivolgersi anche al mercato dei privati cittadini come potenziale fonte di sostegno per il settore culturale. I dati che emergono dall’analisi condotta dall’Associazione Civita (realizzata in collaborazione con UNICAB nel 2009 su un campione composto da 1.000 individui di età compresa tra i 25 e i 64 anni) confermano tuttavia un paradosso tutto italiano: sebbene il nostro Paese possieda “la percentuale più alta di patrimonio culturale mondiale” (secondo una rappresentazione stereotipata a ben guardare assai difficile da motivare!), la gran parte dei privati cittadini dimostra una assai tiepida disponibilità a donare per le arti e la cultura. Questa ‘de- responsabilizzazione’ dei cittadini viene supportata dalla convinzione che tali compiti spettino in modo esclusivo allo Stato, a pochi illuminati “mecenati alla Medici” o comunque ai ceti sociali a più alto reddito, rafforzando un pericoloso pregiudizio di elitarietà di cui è prigioniera oggi la cultura in Italia.
0 Comments
Your comment will be posted after it is approved.
Leave a Reply. |
In questa pagina abbiamo cercato di raccogliere alcune testimonianze ed esperienze di chi lavora nel settore della cultura in Italia. Se anche voi lavorate in questo settore e volete raccontare una vostra esperienza, riportare ricerche o soddisfazioni o difficulta', scrivete a [email protected]
Archives
April 2013
Categories
All
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons. Tu sei libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest'opera. Alle seguenti condizioni: Attribuzione — Devi attribuire la paternità dell'opera nei modi indicati dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza e in modo tale da non suggerire che essi avallino te o il modo in cui tu usi l'opera. Non commerciale — Non puoi usare quest'opera per fini commerciali. Non opere derivate — Non puoi alterare o trasformare quest'opera, ne' usarla per crearne un'altra.
|